Data: 07/02/2018 08:52
QUANDO IL CIBO DIVENTA UN'OSSESSIONE
Articolo di Giulia Martignoni pubblicato su Oltrepò Lombrado Anno 3 Numero 15 Gennaio 2018
Mangiare per
golosità, per noia o per consolarsi, a chi non è mai capitato? Il
rapporto degli esseri umani con il cibo è complesso ed è
influenzato da miriadi di variabili psichiche, culturali e sociali
piuttosto che regolato dalla semplice fame. In alcuni casi tale
rapporto può raggiungere gli eccessi patologici che negli ultimi
anni tutti abbiamo imparato a conoscere, al punto che anoressia
e bulimia sono termini ormai
entrati a far parte del nostro vocabolario comune.
Rientrano
nella categoria dei Disturbi del comportamento alimentare (DCA)
tutte quelle patologie caratterizzate da un’ alterazione delle
abitudini alimentari e da un’eccessiva preoccupazione per il peso e
per le forme del corpo. Si tratta di disturbi che insorgono
prevalentemente durante l’adolescenza e colpiscono soprattutto il
sesso femminile. Digiuno, restrizioni dell’alimentazione,
abbuffate, vomito autoindotto, assunzione impropria di lassativi o
diuretici al fine di contrastare l’aumento ponderale, intensa
attività fisica finalizzata alla perdita di peso, alterazione
dell'immagine corporea sono i sintomi principali. I pensieri sul cibo
assillano la persona anche quando non è a tavola, tutto inizia a
ruotare attorno al cibo e alla paura di ingrassare.
Come può
avvenire tutto ciò? La psicoanalisi ci insegna che l'uomo non sempre
agisce per il proprio bene ma, al contrario, spesso è mosso da una
tendenza ad andare oltre il semplice principio di piacere, è spinto
a ricercare un godimento che travalica la cornice rassicurante del
giusto equilibrio. Così può accadere che una ragazza si abbuffi
fino al punto di vomitare più volte al giorno o si lasci
letteralmente morire di fame. Un soggetto bulimico vive il dramma di
una spinta compulsiva a tentare di riempire un vuoto che non riesce
mai a estinguere e si soddisfa non tanto di ciò che mangia ma
dell'attività infinita del mangiare stesso. Un soggetto anoressico,
invece, gode nel sentire il vuoto dentro di se e cerca di custodirlo
a tutti i costi, si soddisfa della sensazione di avere un controllo
totale sul corpo e sui suoi bisogni. J. Lacan, noto psicoanalista
francese, a questo proposito affermava con precisione che
nell'anoressia non è che il soggetto non mangia, il soggetto mangia
il niente. Diventa evidente come il cibo non sia il vero e
proprio cuore del problema ma semplicemente l'oggetto, il mezzo, che
una persona "utilizza" per cercare di trattare un malessere
più ampio. Per questo motivo nelle cure è sempre utile distogliere
un pò l'attenzione dal tema alimentare e allargare lo sguardo
sull'essere del soggetto nella sua complessità.
Solo una
piccola percentuale di persone che soffre di un disturbo alimentare
chiede aiuto: questo può avvenire perché inizialmente non c'è una
piena consapevolezza della malattia, perchè il senso di vergogna e
di colpa rendono difficile rivolgersi a un professionista o perchè
si ritiene erroneamente di potercela "fare da soli". Di
fronte a queste patologie anche i familiari sono coinvolti trovandosi
il più delle volte in condizioni di impotenza poichè, solitamente,
tanto più si cerca di correggere il sintomo tanto più esso si
rafforza. Il trattamento dei DCA psicoanaliticamente
orientato, pur mirando a riequilibrare il rapporto del soggetto con
il cibo, non si basa su una logica correttiva/ normalizzante ma cerca
di cogliere il significato unico e particolare che un sintomo
apparentemente uguale per tutti ha in realtà per ciascun soggetto,
in modo che la persona, piuttosto che essere ricondotta ad una norma,
possa trovare la propria giusta misura.